Arieccomi.
Allora, cosa raccontarvi prima, non saprei. Posso solo dirvi che per ora ho vissuto tante di quelle emozioni difficili da descrivere.
Ho visto un gruppo di percussionisti giovani, formati dalla mia capa, che è un po' fuori di testa anche lei. Questi musicisti suonavano non lontano da Bukavu, in un posto che dà sul lago Kivu, e vederli suonare è stato qualcosa di molto emozionante. Sarà il potere della musica, sarà non so che, fatto sta che avevo le lacrime agli occhi. Suonavano per la pace, perchè nella loro terra non ci fosse più violenza. Questo popolo è stanco di assistere alla violenza, d'altronde chi non lo sarebbe? Ci sono rifugiati in Tanzania, in Burundi, che sono rifugiati, e che vivono nei campi profughi da più di 10 anni!
Ve l'immaginate cosa deve essere tornare dopo 10 anni di attesa a casa loro?
E' retorico, lo so, ma la speranza qui è nelle giovani generazioni. Ho avuto a che fare con le autorità, mi sono presentato (è protocollo) all'ufficio dei servizi segreti (!), e tutto quello che voleva il funzionario, ubriaco alle 10 di mattina, era che io riempissi un formulario con tutti miei dati, cosa che mi sarebbe costata 20 dollari. E per questa "mancia" ti danno anche una ricevuta!!!!! E la causale recita "cout administratif".... Il mio amico James ha provato a negoziare (in swahili) ma non c'è stato verso. Io sono bianco, e devo pagare. A proposito, qui mi chiamano Mzungu, bianco.
Poi sono andato col mio amico James all'ufficio Immigrazioni, il tipo era più scortese del solito e fa al collega " Il bianco qui lavora al Centre Lokole". Non ve l'ho detto, Centre Lokole è il nome con cui la mia NGO, Search for Common Ground, è partita qui. Siccome è il nome è molto complicato, hanno scelto il Lokole, che è un tamburo con cui la gente di qui si scambia i messaggi da lontano. Adesso la gente comincia ad abituarsi al vero nome americano, storpiato in tutti i modi.
La corruzione delle forze dell'ordine è palpabile, ma non è di questo che vi voglio parlare.
Dopo qualche giorno a Bukavu, pieno di briefing, e di colleghi che ho conosciuto, mi sono catapultato ad Uvira, dove ho incontrato ancora James, che mi ha accolto come gli africani sanno fare. Karibu!, vuol dire benvenuto in swahili. Con lui ho fatto il giro della città, ho incontrato le radio con cui lavoriamo, le truppe di teatro (poi vi racconto meglio cosa facciamo qui), e gli altri.
La nostra guest house è fantastica, pensate che la volevano le UN, e James è riuscito a prenderla comunque. Un punto in più per le ONG, e in culo alle Nazioni Unite!
Ho conosciuto un sacco di giovani motivati, entusiasti di quello che facciamo e di quello che loro fanno con noi, hanno una forza e una volontà che noi ci siamo scordati. Dev'essere la stessa forza che i nostri nonni avevano al tempo della ricostruzione, dopo la guerra, ma forse anche lì le cose erano diverse. E mi hanno raccontato le loro testimonianze, mi hanno detto come Search li ha aiutati a gestire i loro conflitti in maniera pacifica, mi hanno detto "Sai, quello che noi facciamo ha un impatto, serve a qualcosa. In quel villaggio tutti litigavano, non si capivano. Adesso, dopo il nostro intervento, ci mandano SMS e ci ringraziano ancora, perchè adesso riescono a condividere il raccolto, si ascoltano e si capiscono. Adesso, i militari che occupavano casa loro se ne sono andati, oppure pagano regolarmente l'affitto." Davvero non ho le parole per descrivere le sensazioni che provo quando ascolto queste cose, la sensazione di essere utile, di fare qualcosa per la pace in questa terra martoriata da una violenza cieca.
A proposito, sicuramente siete passati, ad un certo punto della vostra vita, davanti ad un monumento che recita "qui i nostri compatrioti sono morti per la libertà", e giù i nomi di 4450 persone. Beh, qui è la stessa cosa, lungo la strada si vedono monumenti che recitano "qui avvenne il massacro di Makobola", niente di diverso, o meglio, la sola differenza sono gli anni. 1996, 1998, 2000, 2002. Dove eravamo noi il 13 luglio 1998? Sono sicuro che tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo, oppure ne abbiamo una pallida idea. Al mare, probabilmente sorseggiando birra, o mangiando una pizzetta, fumando una sigaretta, mandando SMS, cazzeggiando con gli amici. Nel frattempo, questa gente veniva massacrata a colpi di machete.
Stasera sono a Baraka, dove abbiamo un centro culturale. I bambini, gli adolescenti vengono qui e giocano a biliardo, a biliardino, o altri giochi. Si incontrano e diventano amici, tea Banyamulenge, Bafulero, Babembe, Bashi. Sono le diverse etnie (o tribù, come le chiamano loro) che si combattono. E anche loro, al loro interno, hanno dei conflitti, persino a livello di famiglia contro famiglia. In questo centro si parlanao, discutono, guardano film, giocano a carte, ridono, giocano a calcio.
Poi sono stato a bere una birra (davvero credete che fosse una sola?) con gli attori di teatro sul posto, e anche loro mi hanno raccontato le loro testimonianze, di come il teatro aiuta a parlare, a risolvere i conflitti.
Adesso sono qui che vi scrivo, nella guest house di UNHCR, e non so neanche quando pubblicherò questo post.
Ma non avete idea di come sono contento di fare quello che faccio.
Vi saluto!!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)

Nessun commento:
Posta un commento