lunedì 25 maggio 2009

Una di quelle mattine lì.

Ti svegli e non sai se con il caffè ci va Van Morrison o Cat Stevens, allora ripieghi su Dylan, Boot of Spanish Leather.
C'è uno strano cielo blu, chiaro, quasi senza nuvole, è raro da queste parti, dove non arrivano gli angeli a insegnarti la strada buona.

Oh I can't I can't, you ask me again, it only brings me sorrow...

Il sole si riflette sul lago, tra gli alberi si vedono le piccole barche dei pescatori. E' sabato, ma c'è sempre qualcosa da fare in ufficio. Un po' di mal di testa, troppo rum ieri sera.
Degli amici che ho conosciuto rimane qualcuno, molti in vacanza, altri a fine missione. Fortuna che torna Andrea, così continuiamo a suonare insieme. Volume alto, chitarre in sincrono, per non sentire quello che hai dentro. O per vomitarlo tutto fuori. Ha ragione il suonatore Jones, suonare ti tocca per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare.

Insomma, qui va tutto bene, si aspettano i fuochi d'artificio, il mio lavoro va bene, la mia capa è contenta di me, io ho molte soddisfazioni e vedo che quello che facciamo qui per il paese ha un impatto reale e duraturo. Difficile da credere, ma è così. Poi però hai sempre il dubbio di lavorare per gli altri per non pensare a te.

In questi mesi sono successe un sacco di cose, a me e al Congo. Comincio a capire e a decifrare il contesto in cui lavoro, ma non sono sicuro di aver capito tutto quello che è successo a me. Però non ho l'impressione che la mia vita mi sfugga di mano, e questo mi rincuora.
Ho perso la fiducia in me stesso, sono caduto col culo per terra. Mi ha fatto male. Però mi sono rialzato, un amico che passava di là mi ha teso la mano, e mi ha detto vieni, andiamo a suonare. Era bello, c'erano tante birre fredde (non è scontato da queste parti), c'erano tante ragazze, suonami questa, e suonami quella, e facciamo Renaud, e la sai quella di Benabar, e Ligabue perchè ti tiene su soltanto un filo, sai.
E' bello guardare le ragazze dritte negli occhi mentre suoni, è bello giocarci. Abbassi la testa e sorridi sull'accordo finale, all'applauso riprendi la sigaretta che hai appoggiato accanto a te, o infilato tra la corda e la paletta, à la Eric Clapton. Così racconti qualcosa di te, sperando di farti capire. E qualcuno che capisce c'è sempre, o forse sono solo fortunato.
Quella sera abbiamo brindato, abbiamo cantato, abbiamo riso. Io mi sono leccato le ferite, non avevo cerotti. Poi ho ripreso la chitarra, e piano piano Sol maggiore, bassi alternati, fingerpicking rubato a Paul Simon, e con una voce che volevo somigliasse a quella un po' infantile di Garfunkel ho cominciato. I hear the drizzle of the rain... Allora una ragazza si è girata, tutti quanti parlavano, ma lei ha fatto Shhhh, ascoltatelo. E il silenzio attorno a te, allora acceleri il tempo della canzone, è un errore, ma inevitabile, poi ti riprendi. And I song I was writing is left undone, chissà perchè continuo a cantare canzoni in cui non credo. E piano piano ti sveli. Non è così facile.
Quella sera c'era una luna grande così. E c'era anche la croce del Sud, che si muove, fa un lungo giro. E c'era anche Iris, che canta Tracy Chapman, e quando alzo la testa gli sguardi si incrociano, lei mi sorride, io ricambio, ma non le faccio vedere che quegli occhi blu da olandese sono talmente belli che me li ricorderò ancora per un bel po'. Niente di che, ma a volte suonare e cantare insieme creano una sorta di sintonia sottotraccia, non so come spiegarlo.

Poi si rimane in 2 o 3, allora si fa l'ultima, quella che chiude la serata, ci son macchine nascoste, e però nascoste male. Qualche tempo fa era buonanotte fiorellino, ma quella l'ho lasciata a lei, in un bilocale di Parigi, era gennaio, pioveva. Non penso che la suonerò ancora. Anche le canzoni hanno il loro posto.
Sono le 3, un po' imprudente da queste parti dover riprendere la macchina a quell'ora, ma c'è ancora posto per un'ultima birra, è ancora fresca. Due chiacchiere, gli occhi si fanno pesanti, ma la chitarra è ancora tra le mie braccia. Facciamo l'ultima ultima? Ok, che si fa? Rifacciamo piccola stella senza cielo. Ok, però suona tu, io canto. Ma dura solo una strofa, poi attacco pure io. Ti brucerai, perchè ti tiene su soltanto un filo, sai.

Nell'attesa che qualcuno mi mandi spanish boots of spanish leather, mi faccio un caffè.

3 commenti:

Andrea ha detto...

Cambiare tonalità senza cambiare la passione degli accordi è un pò come essere sé stessi ma sempre diversi. Ed è il migliore augurio che mi riesce di farti oggi. Buona vita e a presto, amico mio.

ale ha detto...

Dov'e' che l'ho gia' sentita? ;)

Anonimo ha detto...

Ale, non lo so perchè sono finita a curiosare sul tuo blog stamattina che avrei mille cose da fare...sono rimasta agganciata alle cose che scrivevi su questo post e mi è quasi venuto giù un lacrimone. Ci sono poche cose che mi mancano di Firenze: ma una di questa sono le nostre serate a suonare, fatte di vino, sigarette, confidenze e tanti sogni nel cassetto.
Ale anche se sei lontano, anche se ti senti alieno, pensa che qui giù qualcuno ti pensa e si ricorda dei tuoi piccoli tic, del tuo modo di abbassare lo sguardo e sorridere del tuo modo meraviglioso di suonare, vincendo la timidezza.
Ti mando un abbraccio grande grande grande
Anna